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Recensione al film CELLA 211 di DANIEL MONZÓN

Scritto da  Mattia Massini
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Locandina Cella 211 Locandina Cella 211

Cella 211, film dai toni accesi e cruenti, rivela e proietta le condizioni di vita dei detenuti in carcere.

È una storia, apparentemente assurda e surreale, che vede il protagonista principale, Juan, secondino, coinvolto in una serie di equivoci e incidenti causati dalla fallibilità del sistema carcerario.

Il regista, Monzon, riesce consapevolmente a innestare nel protagonista una sorta di alter ego che diventa sempre più radicato.

In Juan si concretizza un Dr. Jeckyll e un Mr. Hide: la parte peggiore viene fuori non appena perde la moglie e si trasforma, anche lui, in un assassino.

Monzon non fa altro che mostrarci questa lotta continua che il protagonista in tutta solitudine combatte contro i detenuti, contro il Sistema e alla fine contro se stesso.

Interessante è la figura di Malamadre, dichiarato leader dei detenuti. Tra lui e il protagonista nasce una specie di amicizia che diventa alla fine del film sempre più profonda e che li vede insieme contrapposti a un unico nemico comune: il Sistema carcerario.

Il regista, a questo punto, evita in maniera disincantata di affibbiare colpe o responsabilità limitandosi a mostrarci in silenzio cosa significa perdere un'idea, perdere qualcuno e alla fine perdere se stessi; cosa si è capaci di fare quando con le spalle al muro non si ha più niente da perdere.

Cella 211 è il titolo del film, ma è anche il simbolo, per Juan, di una sorta di purgatorio, di una possibile redenzione attraverso il suicidio.

Film per niente scontato che rifila alla spettatore una vera e propria bastonata nelle battute finali. Monzon, probabilmente, vuole mostrarci come sia strano e a volte quasi scorretto il corso della giustizia.

 

 

 

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